Mario Ventura, lo scienziato che ha fatto cadere i veli sul genoma umano

Apr 8, 2024

Una vita racchiusa in un libro. Un’opera che prima «aveva un indice, una prefazione, un cuore e una conclusione», per dirla con Mario Ventura, 47 anni: ordinario di genetica all’Università di Bari. Ma a cui, nel mezzo, «mancavano delle pagine». Come se qualcuno le avesse strappate e nascoste, prima che un gruppo internazionale di oltre cento scienziati le riscoprisse e le mettesse al proprio posto. Tra loro, ci sono otto italiani. Tutti - i docenti Francesca Antonacci, Claudia Rita Catacchio e i ricercatori Ludovica Mercuri, Francesco Montinaro, Flavia Maggiolini, Alessia Daponte e Luciana De Gennaro - coordinati da Ventura. Di uno dei massimi esperti di studi sui cromosomi - oltre a insegnare a Bari, è docente all’Università di Washington - oggi si parla nel mondo. Ma il suo approccio alla vita - con la ricerca e l'amore per gli animali davanti a tutto - non è cambiato di una virgola. 

Ventura, ci aiuti a capire: qual è il valore aggiunto della vostra scoperta?

«Dal 2001 conosciamo la quasi completa composizione del genoma umano. Ovvero del Dna - una doppia elica fatta di basi azotate, gruppi fosfato e zuccheri - che troviamo sia nel nucleo delle cellule sia dei mitocondri. Con il tempo abbiamo però capito che quella scoperta era incompleta. Fino a pochi giorni fa, infatti, conoscevamo il 92 per cento del nostro codice genetico. Il libro, per l’appunto. Mancava una quota che per anni è stata considerata priva di valore biologico. Sono le pagine che abbiamo aggiunto adesso, per completare l’opera».

Cosa intende?

«All’interno dell'otto per cento rimanente del genoma che abbiamo sequenziato ci sono numerose regioni ripetute: le duplicazioni segmentali. La loro natura ci aveva ingannato: portandole a considerarle trascurabili. Ma non è così, perché contengono alcuni geni responsabili di diverse malattie: dalle cause di ritardo mentale alla schizofrenia, fino all’autismo. Più in generale, conoscere l’assetto base di queste regioni tornerà utile per studiare tutte le malattie poligeniche: molte delle quali rare. Come tali si definiscono quelle condizioni causate dalla contemporanea alterazione di più porzioni del Dna».

Perché in queste regioni altamente ripetute si nascondono i segreti di diverse malattie?

«Durante la meiosi, il processo di divisione cellulare da cui hanno origine i gameti, è più frequente che queste regioni si appaino. Si tratta di sequenze di Dna molto simili, seppur non identiche. Lo scambio di materiale genetico tra i cromatidi, i due bastoncini che compongono un cromosoma, porta così alla formazione di gameti che, se arrivano a comporre cellule uovo o spermatozoi, li generano sbilanciati. Con porzioni in più o in meno di Dna, rispetto al previsto. Questi gameti, quando vanno incontro alla fecondazione, creano un embrione con un Dna compromesso. È in questo momento che nasce una malattia genetica».

Quale innovazione ha reso possibile il disvelamento di questa porzione mancante del codice genetico? 

«La tecnologia e l’avvento di macchine in grado di sequenziare porzioni più ampie dei genomi. Fino a pochi anni fa, si lavorava su stringhe composte da un migliaio di paia di basi, che venivano poi assemblate per restituire l’istantanea completa. Oggi sequenziamo - ovvero determiniamo l'ordine dei diversi nucleotidi che costituiscono il Dna - regioni composte anche da trentamila paia di basi. Così, evitando la successiva unione di queste porzioni, non esistono più quei gap che ci siamo portati dietro fino a poche settimane fa».

In che modo la vostra scoperta tornerà utile in campo medico?

«Una volta completato il testo di riferimento, potremo studiare la variabilità genetica nella popolazione umana. Un aspetto che tornerà utile per definire, per esempio, quali variazioni possano esserci tra il Dna di un italiano e quello di un sudamericano. Una volta scoperte le cause di una malattia, poi, potremo intervenire eventualmente con la terapia genica. Come già si fa, per esempio, nei confronti di alcune condizioni rare: dall’atrofia muscolare spinale alla sindrome di Wiskott-Aldrich, dalla leucodistrofia metacromatica alla mucopolisaccaridosi di tipo 1. Malattie che fortunatamente in pochi conoscono, ma che stravolgono la vita delle famiglie in cui si affacciano. Senza trascurare alcune soluzioni rivolte alla cura di particolari tumori del sangue, resistenti ad altre terapie».

Un genoma senza più segreti favorirà una maggiore personalizzazione delle cure?

«Abbiamo evidenziato, per esempio, come alcune porzioni ripetute del gene LPA siano legate al rischio cardiovascolare. Meno ce ne sono, per essere più chiaro, maggiori sono le probabilità di andare incontro a un infarto o a un ictus. Poter fare un’analisi preventiva di questa regione ci aiuterà a individuare le persone che sono più a rischio. E che, come tali, devono effettuare controlli più specifici con maggiore frequenza».

Tutto qui?

«Ci sono pure le prospettive legate alla farmacogenomica, che permetterà di scegliere se adottare o meno una terapia in base alla composizione del Dna. Oggi sappiamo che non tutte le persone affette dalla stessa malattia rispondono in egual maniera alle medesime cure. Prendiamo il caso dei tossicodipendenti a cui viene dato il metadone per ridurre l’assuefazione. Ci sono pazienti che rispondono a dieci milligrammi e altri che arrivano a richiederne cento. La differenza alla risposta terapeutica, con ogni probabilità, è scritta nel Dna. Domani, grazie a queste scoperte, potremo prescrivere la giusta dose terapeutica fin dall’inizio. O decidere a quale paziente dare il farmaco “A” e a quale un’alternativa più efficace».

Questo bagaglio di conoscenze si tradurrà in opportunità di salute economicamente sostenibili in un servizio sanitario universale come il nostro? 

«I costi della tecnologia stanno calando e questo sta favorendo la diffusione del sequenziamento in più laboratori. In Cina un sequenziamento con segmenti di poche migliaia di paia di basi costa 600 euro. Con poco più di mille euro, privatamente, lo si fa anche in Italia. Per fare un esempio concreto, cito il test del Dna fetale da sangue materno: raccomandato in gravidanza come screening delle principali anomalie cromosomiche. Un esame che prima veniva effettuato in pochi centri e che costava diverse migliaia di euro oggi è addirittura rimborsato interamente da alcune Regioni. Quelle illustrate sono tutte prime evidenze, che rendono però l'idea di quale risorsa abbiamo tra le mani. Il target di popolazione per cui questi esami potrebbero essere utili sarà definito più avanti. E caso per caso. La nostra scoperta ci permette di sapere dove andare a cercare le eventuali cause o i fattori di rischio di alcune malattie. Sarà dunque possibile sequenziare in maniera mirata. Ed economicamente più sostenibile».

Come ci si sente a essere autore di una scoperta destinata a finire sui libri di scuola?

«L’emozione è immensa e ripaga di tutti i sacrifici compiuti in questi anni. Ai miei studenti dico sempre che non insegno loro nulla, se non ad avere passione nei confronti della biologia. Senza questa, non è possibile lavorare tanto per giungere a questi risultati».

Anche nel Mezzogiorno si fa dunque ricerca ad alti livelli. 

«Qui a Bari, come in altri atenei del Sud, non manca nulla rispetto a ciò che si può trovare nei più grandi centri di ricerca europei. Partire per conoscere altre realtà è una risorsa, ma bisogna imparare anche a tornare: per riportare a casa il meglio di quanto si è appreso lontano».

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